Il recupero di una preziosa testimonianza degli anni Trenta tra ripristino filologico e miglioramento delle prestazioni ambientali
di GIULIA VIALE e BETSABEA BUSSI
Il restauro dell’architetto Paolo Luigi Grassi dà un’altra chance al Belvedere di Sestriere attraverso un delicato cantiere a quota 2658 m. Quando è stato acquistato da un privato nel 2015, del Belvedere non rimaneva che lo scheletro in calcestruzzo e il tetto sfondato dalle nevicate. Costruito nel 1931, il Belvedere è stato uno dei primi edifici moderni di Sestriere, stazione sciistica inventata dalla famiglia Agnelli.
Il lancio della località avviene con la costruzione, nello stesso anno, della funivia Alpette-Sises, il cui progetto architettonico è firmato dall’ingegnere Vittorio Bonadè Bottino (1889-1979), autore anche dei due iconici alberghi a torre. Con una vocazione contemplativa, il Belvedere si presentava come uno spazio accessorio non collegato via fune al resto dell’impianto di risalita. Al momento dell’inaugurazione, il Belvedere regalava ai suoi visitatori l’incanto di un panorama a 360° grazie a una serie continua di finestre quadrate. Al suo interno ospitava una piccola cucina e un bagno al pian terreno e, al piano superiore, una saletta con alcuni tavoli e qualche seduta.
Nel 2016 il nuovo committente chiede all’architetto non molto di più per farne il suo rifugio di famiglia. Trovandosi davanti a un edificio in rovina, Grassi non opta per un ripristino assoluto: l’originale intonaco giallo non è riproposto e il calcestruzzo è lasciato a vista. Tuttavia, alcuni elementi come balaustre e serramenti sono frutto di una fedele ricostruzione filologica. Accanto alle questioni formali, Grassi si preoccupa delle problematiche energetiche, ispirandosi alle soluzioni adottate nei più recenti rifugi e bivacchi per rendere autosufficiente il Belvedere. L’ottenimento del comfort termico parte dalla coibentazione dell’edificio per mezzo di un cappotto interno e dall’installazione di alcuni pannelli solari ad aria, la cui forma è stata studiata per integrarsi al disegno della facciata. Questo permette di non scendere mai a temperature inferiori a –1° e di rendere sufficiente una stufa a legna per il riscaldamento degli ambienti. Il rifornimento idrico è ottenuto tramite un sistema di raccolta e filtraggio dell’acqua piovana, dove un aggiuntivo impianto antibatterico a raggi UV ne assicura la potabilità. Il fabbisogno energetico minimo è coperto dai pannelli fotovoltaici montati sulle balaustre, da un sistema di accumulo a batterie e da un generatore a benzina. Tutto ciò permette di dotare l’edificio dei comfort della vita moderna pur mantenendolo off-grid.
Negli interni domina il legno, dagli elementi originali della copertura lasciati a vista agli arredi disegnati ad hoc. Il progetto d’interni garantisce un ambiente accogliente che restituisce all’edificio la sua originaria funzione contemplativa, dove tutta la scena è lasciata alle vette. Ciascuna delle dodici finestre, una per ogni lato del dodecaedro, incornicia un’istantanea del paesaggio alpino circostante.
Alle sfide poste dal restauro di un edificio degli anni Trenta si sono aggiunte le complessità di un cantiere in quota (impresa Marco Bartolini). In mancanza di un accesso carrabile, si sono infatti rese necessarie dieci rotazioni di elicottero per portare il materiale in vetta. Le maestranze raggiungevano il Belvedere a piedi, perciò era fondamentale snellire il più possibile le ore di lavoro in quota: ad esempio, gli arredi sono stati trasportati già montati. A seguito del restauro, la Soprintendenza ha deciso di vincolare oltre al Belvedere anche la stazione d’arrivo del Sises.
Immagine di copertina: © Vittorio Gribaudi