(foto Adele Muscolino)

Le impressioni dopo la visita al bivacco recentemente installato in Valle Soana

di LUCA GIBELLO
Il tema è delicato, e sta diventando sempre più rilevante. In modo laico e argomentato, ne aveva già trattato in questo blog Roberto Dini a fine 2021, invocando la necessità di una strategia di pianificazione. Ci riferiamo alla realizzazione di nuove strutture, in particolare bivacchi, alla memoria di caduti in montagna e non solo. Le forme del ricordo – sacrosanto, premettiamolo – possono essere molteplici ma, negli anni recenti, parenti e amici hanno spesso optato per l’erezione di nuovi bivacchi (Luca Pasqualetti al Morion, Matteo Corradini alla Dormillouse, Claudio Bredy nella Comba di Vertosan, Salvasera al Palavas, Mamo Comotti al Lyskamm, Edoardo Camardella al Ruitor, solo per citare alcuni degli interventi recenti, che in talune occasioni hanno visto coinvolta tra i promotori anche la nostra associazione culturale), non tutti realmente indispensabili dal punto di vista alpinistico o escursionistico.

È il caso del bivacco dedicato a Marco Beltrando, installato nel luglio 2022 sulla vetta di Punta Rama (2439 m), che siamo andati a visitare di recente, approfittando della drammatica carenza di neve. Ci troviamo all’imbocco della Valle Soana, nel territorio comunale di Frassinetto (Torino), in un comprensorio assai defilato rispetto ai celebrati circuiti escursionistici che gravitano nel Parco nazionale del Gran Paradiso (qui ne siamo appena fuori). Così, per ricordare il giovane geologo appassionato di montagna che perse la vita nei pressi, e approfittando di finanziamenti europei veicolati dalla Regione Piemonte, i Comuni di Frassinetto e Borgiallo hanno commissionato a Daniele e Marco Chiuminatto (rispettivamente geologo e geometra) e alla Segheria Valli unite del Canavese (Castellamonte) la progettazione, realizzazione e posa della struttura, che è poi stata presa in gestione dagli Amici del bivacco Beltrando, un’associazione culturale di giovani costituita all’uopo.

Lodevole l’intento di far conoscere e valorizzare il territorio attraverso la promozione della cultura della montagna, nonché la realizzazione di nuovi percorsi (anche attrezzati) e il ripristino di quelli esistenti, con tanto d’indicazioni e utili pannelli esplicativi. Se la frequentazione di un’area marginale ne giova di certo, la funzione del bivacco resta tuttavia assai limitata, non trovandosi lungo itinerari particolarmente estesi né impegnativi. Il libro custodito al suo interno registra infatti i commenti di visitatori che vi pernottano per il puro piacere di trascorrere una notte in quota, e non perché necessitanti di un punto d’appoggio per trekking, traversate o altro.

Guardando invece agli aspetti progettuali e costruttivi, l’opera non è confrontabile con le esperienze di prefabbricazione completa fuori opera e rapido assemblaggio per blocchi (“a fette”, per permetterne l’elitrasporto) già completi e rifiniti in sito: esperienze che caratterizzano i lavori di Leapfactory Srl (l’azienda nata con l’installazione del notissimo bivacco Gervasutti alle Grandes Jorasses) e dei casi successivi che ne hanno tratto ispirazione. Qui, invece, la struttura lignea poggia su un massiccio cordolo in cemento armato, mentre il montaggio del manufatto ha visto ampio impiego di manodopera in cantiere, con numerose operazioni di carpenteria, cui è seguita tutta la lavorazione per le finiture interne e il rivestimento metallico. A livello di concezione spaziale, a fronte di un volume piuttosto ingente (un prisma a sezione trapezia irregolare, che configura una copertura a due falde, di cui una si abbassa a terra), i posti letto sono solo 8, su una superficie lorda di 4,5 x 3,5 metri, per una cubatura netta dello spazio abitativo di 34 mq (si consideri che il noto bivacco modello Apollonio offriva 8/9 posti in un perimetro di poco più di 2 x 3 metri). La disposizione interna vede un ingresso-disimpegno all’estremità orientale, dove si apre l’unica parete-finestra (espediente ormai in voga nelle strutture “a cannocchiale” sviluppate longitudinalmente), del cui panorama tuttavia non si può godere dallo spazio centrale con tavolo, angolo cottura e stufa, in quanto schermato da un setto divisorio a tutt’altezza, al quale sono agganciate le cuccette. Sul lato ovest, quello che digrada a zero, è invece ricavato un (troppo) ampio cavedio destinato a ripostiglio e legnaia (2,55 x 3,5 m). Insomma, siamo piuttosto lontani dalle esperienze di ricerca progettuale basate sugli spazi minimi e l’ottimizzazione funzionale.

 

 

 

Articolo precedenteLa Valle d’Aosta incentiva il rinnovo delle strutture
Articolo successivoRifugio, non basta la parola