Presentata al Trento Film Festival una ricerca realizzata da TSM-Accademia della Montagna

 

TRENTO. Quello del “rifugista” è un ruolo sempre più articolato, complesso e impegnativo che richiede professionalità e competenze diversificate. È quanto emerge da una ricerca, presentata il 30 aprile nell’ambito della 72^ edizione del Trento Film Festival, sull’evoluzione di questa professione. La ricerca è stata realizzata dal Servizio Turismo e Sport della Provincia autonoma di Trento, attraverso TSM-Accademia della Montagna, in collaborazione con l’Associazione Gestori dei rifugi del Trentino*. I dati raccolti evidenziano le principali caratteristiche del rifugista trentino, figura professionale flessibile, pronta a interpretare ruoli diversi e svolgere molteplici attività. I rifugisti intervistati, infatti, si definiscono: ristoratori, albergatori, baristi, custodi di esperienze, guide e accompagnatori.

L’indagine ha affrontato il tema sia da un punto di vista quantitativo, coinvolgendo con un questionario 42 gestori iscritti all’Associazione, sia da un punto di vista qualitativo, incontrandone e intervistandone 11. I dati raccolti coprono in maniera omogenea il territorio provinciale toccando tutte le quote altimetriche, dai 600 agli oltre 3000 metri dei rifugi del Cevedale e della Marmolada, e presentando sia l’opinione di rifugisti che gestiscono strutture private, di gestori di rifugi CAI-SAT, di strutture di proprietà pubblica.

Dall’analisi dei dati raccolti emergono le principali caratteristiche del rifugista trentino, figure professionali complesse chiamate ad essere dinamiche e flessibili, pronte ad interpretare ruoli diversi e svolgere molteplici attività: un “rifugista plurale”. I rifugisti intervistati, infatti, si definiscono: ristoratori, albergatori, baristi, custodi di esperienze e guide/accompagnatori. Per riuscire a coprire tale diversità di ruoli è fondamentale creare rete, stringendo contatti e relazioni con le strutture di fondovalle e gli altri rifugi (la quasi totalità dei gestori dichiara di avere ottimi rapporti con i colleghi). I rifugisti trentini, quindi, manifestano un significativo senso di appartenenza alla professione e al territorio, la disponibilità ad affrontare i cambiamenti in atto mettendosi in gioco in prima persona e collaborando con gli altri attori del sistema. È poi fondamentale creare un gruppo di lavoro solido (che alcuni gestori chiamano “famiglia allargata”), circondandosi di validi collaboratori (un rifugio su tre conta almeno 10 dipendenti) così da riuscire ad affrontare una clientela sempre più numerosa con aspettative crescenti rispetto alla qualità dell’offerta.

Nella maggioranza dei casi si tratta di “rifugisti specializzati”, professionisti che hanno la gestione del rifugio come unica attività professionale: due rifugisti su tre lavorano presso il rifugio (e per il rifugio) per tutto l’anno e non solamente durante il periodo di apertura (estiva o invernale) ma anche nei periodi di chiusura necessari all’organizzazione, alla manutenzione, alla promozione. Il rifugista è tendenzialmente un professionista con esperienza consolidata, un “rifugista storico”, che per il 70% dei casi gestisce il rifugio da almeno 10 anni. Pur nella presenza di rifugisti giovani, l’età media del rifugista supera i 40 anni: la fascia d’età maggiormente rappresentata è quella tra i 50 e 59 anni. Il 50% dei rifugisti intervistati porta avanti un’attività familiare, è “rifugista per nascita”, che cerca di coniugare famiglia e passione per la montagna.

Rispetto alla struttura, il 60% degli intervistati risponde che il proprio rifugio ha bisogno di “piccole modifiche”, il 31% risponde “significative modifiche” e solo il 9,52% di “nessuna modifica”. Per coloro che dichiarano la necessità di “significative modifiche”, i principali desideri di ristrutturazione riguardano alcuni servizi interni (bagni, cucina), molto meno le parti esterne, le aree pertinenti e le infrastrutture d’accesso.

Per quanto riguarda la clientela, i gestori dichiarano di incontrare sempre più “nuovi turisti”, soprattutto trekker occasionali, biker e runner. A spingere la clientela verso i rifugi è prevalentemente l’interesse verso il paesaggio, il cibo e la possibilità di pernottare in un contesto unico, non mancano però gli interessi verso gli aspetti ambientali, geologici, naturalistici (oltre il 60% della clientela) e quelli storici e culturali del territorio (oltre il 50%). È di fronte a questa molteplicità di interessi e aspettative che il rifugista deve essere, al contempo: interlocutore esperto dell’universo alpinistico (secondo il 92% dei questionari), testimone della cultura del territorio (90%) e profondo conoscitore del luogo (ancora 90%), nonché operatore turistico (83%) e persona affidabile in grado di essere un possibile riferimento per la sicurezza (66%).

La complessità della professione del rifugista si riflette sul rifugio (inteso come edificio e spazio circostante) che si trova svolgere differenti funzioni: ristorativa, d’alloggio, punto d’informazioni, tappa di arrivo o di partenza, punto di soccorso. I rifugi trentini sembrano ben supportare tali funzioni, infatti, solo il 31% dei gestori dichiara che il rifugio in cui lavorano ha bisogno di modifiche significative (il 60% dichiara di volere piccole modifiche, il 9% non vuole modifiche).

Gli aspetti su cui bisogna maggiormente investire, affermano i rifugisti trentini, sono legati soprattutto all’educazione alla frequentazione della montagna, alla corretta comunicazione e alla professionalità. È anche così che i rifugi possono continuare ad essere uno straordinario patrimonio culturale, un presidio del territorio, un riferimento per la fruizione dell’alta quota e per la promozione di una cultura diffusa della montagna. I rifugi con i loro gestori sono per eccellenza il presidio del territorio montano in cui vivono, sono l’avamposto del contesto in cui sorgono, gli osservatori privilegiati del cambiamento climatico e culturale, i facilitatori verso uno straordinario patrimonio territoriale. I cambiamenti in atto, relativi sia alla frequentazione dei turisti che di natura ambientale, sollecitano la ricerca di soluzioni per adattare strutture e modelli di gestione, sempre però nei limiti di ciò che è auspicabile e realizzabile in contesti fragili e vulnerabili.

 

Immagine di copertina: Roberta Silva, custode del rifugio Roda di Vael al Catinaccio (2283 m) e presidentessa dell’Associazione gestori dei rifugi del Trentino

 

* La ricerca è stata svolta dal Servizio Turismo e sport della Provincia autonoma di Trento attraverso TSM|ADM Accademia della Montagna, in collaborazione con l’Associazione gestori dei rifugi del Trentino. La ricerca è stata diretta da Gianluca Cepollaro (responsabile TSM|Accademia della Montagna) ed ha visto la partecipazione diretta al gruppo di lavoro dei rappresentanti dell’Associazione gestori dei rifugi del Trentino (Roberta Silva, Presidente e Raffaele Alimonta, Vice-Presidente) e del Servizio Turismo e sport della Provincia autonoma di Trento (Alessio Bertò, Direttore Ufficio interventi tecnici, patrimonio alpinistico e termale). Al gruppo di lavoro hanno partecipato per TSM|ADM Steven Chiusole, Angelo Longo e Ilaria Perusin. L’indagine qualitativa attraverso le interviste in profondità è stata svolta da Angelo Longo in collaborazione con Andrea Colbacchini e Michele Trentini. La supervisione all’analisi quantitativa attraverso il questionario è stata di Umberto Martini, professore ordinario di Economia e gestione delle imprese presso l’Università degli Studi di Trento

 

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